PIRATI.
IL MARE INFINITO DELL’ANIMA
Per allietare la nostra memoria ed i nostri sogni, un racconto che narra di pirati, vascelli, velieri e caldo potrebbe essere l’ideale per far volare il nostro pensiero dentro una storia di fantasia, ma che per magia ci cattura con serena armonia.
Tutto iniziò un giorno lontano, quando le storie di pirateria erano più importanti di qualsiasi altro evento che potesse accadere. Corsari, pirati, vascelli e velieri spagnoli e britannici da abbordare. Il calore dei Caraibi, le taverne piene di rozzi galeotti pronti ad uccidere per qualche sporco doblone.
Ma, come in tutte le storie che si rispettino, a catturare l’attenzione di chi scrive, preso dalla frenesia del sogno, e del lettore, rapito dalle parole, c’è il protagonista. Ed il nostro, è un giovane ed avventato pirata, iniziato alla carriera sulla nave del grande pirata Barbarossa, dove era il mozzo tuttofare.
Cresciuto con ciurme di tutti i generi, allenato ai sette mari, il giovane crebbe fino a quando, un giorno, se ne andò. Prese un piccolo Sloob, imbarcazione di piccola stazza, comprato con i risparmi di una vita e, con altri tre uomini, amici fedeli, prese il largo.
Di lui non si ebbero più notizie per alcuni anni, fino a quando, una notte, una di quelle dove la luna splendente sul mare veniva pian piano offuscata da quella fitta nebbia, che si addensa fino a creare una coltre spessa e spaventosa, dove nelle ossa ti vengono i brividi di terrore pensando alle leggende delle navi fantasma, si vide una sagoma nera, in lontananza, mischiata con le nebbia grigia ed i raggi pallidi della luna, una stazza imponente che stava arrivando nella baia dell’isola di Norman, nell’unica insenatura conosciuta in cui poter sbarcare. Si, l’isola di Norman, conosciuta successivamente negli anni come l’isola del tesoro. La stazza dell’imbarcazione fendeva la nebbia come un coltello tagliente, quasi a far capire che avrebbe potuto osare di tutto. La nebbia sembrava muoversi al suo passaggio e, come improvvisamente calata, così di li a pochi istanti si diradò, svelando la nave, un poderoso veliero, con cannoni luccicanti come fossero d’argento, vele di un bianco lucente che nemmeno le stelle potrebbero esserlo di più. Una ciurma composta da prodi combattenti, armati ed abili, circa 60 uomini, e poi lui, il giovane partito anni prima con una piccola imbarcazione, comandante di un veliero da mille ed una notte, sconosciuto a tutti ma non ai suoi uomini. Il suo nome era Enry Fly ma lo chiamavano Silver, comandante del Veliero Blade Sea.
La curiosità dicono sia donna, ma non sempre è così. Silver aveva una morbosa voglia di sapere il suo nome. La cena iniziò, e di li a poco egli non resistette ” Mia signora, la vostra presenza illumina tutta la stanza, ancor di più della luna che splende, e delle stelle che brillando rendono luminosi i vostri occhi. Vi prego, concedetemi l’onore di conoscere il vostro nome”
” Volevo farvi stare sui carboni ardenti fino alla fine, ma siccome il vostro comportamento è degno di un vero pirata gentiluomo ve lo dirò. Mi chiamo Isabelle Carugue, ma tutti mi chiamano Lady Black”
Andarono avanti a chiacchierare, bere e mangiare tutta la notte. Le diede una camera della nave, la sua camera, quella del comandante, e lui andò in un’altra stanza, per farle capire che la sua galanteria era vera.
Una sera, come solito essere, Silver salutò Isabelle augurandole la buona notte. Lei a voce bassa, per la prima volta, disse ” Rimani. Sta sera non andare. Vorrei che tu iniziassi a rimanere….” Lui si bloccò, sentii il suo cuore fremere e palpitare talmente forte che nemmeno l’adrenalina delle battaglie più feroci lo fecero pulsare così. Un brivido, un tremito, un calore freddo ma dolce lo avvolse. Si girò verso di lei, stupendamente luminosa con i raggi di luna che la colpivano dalla finestra della poppa. Incantevole visione di una donna con i capelli ricci raccolti con la coda, il viso leggermente chino, lo sguardo dolcemente caldo verso di lui. E lui con calma e tranquillità chiuse la porta della stanza, le si avvicinò, le accarezzò il viso, così vellutato da sembrare il petalo di una rosa, le sfiorò i capelli spostandoli dalle sue guance, annusò il suo profumo, un profumo naturale, creato con estratti di gelsomino ed orchidee, inebriante più del miglior vino, la fissò negli occhi. Lei era appoggiata con la schiena ad una colonna in legno lavorata del letto, con le braccia dietro di se. Le labbra si avvicinarono. Il bacio. Oh sì, quel fatidico bacio aspettato da così tante lune, quel sapore di frutti di bosco delle sue labbra, quel bacio, che racchiudeva tutte le parole che si dicono in silenzio. Il vero primo loro bacio appassionato. E la notte era appena iniziata, lunga, con lieve brezza estiva, non troppo calda, ideale per permettere a due amanti di gioire dei loro piaceri, di soddisfare le loro esigenze erotiche. E che mattina diversa, svegliarsi con lei accanto, guardarla nel sonno, accarezzarla, tenerla a lui, proteggerla, e lei sorridente nel sonno, felice. Felice di aver fatto il primo passo, contenta di come tutto stava andando. Magari in fretta, ma forse doveva essere così.
Tutti immobili, senza parole. Era la prima volta che vedevano, Silver ed Isabelle compresi, una “Nave Fantasma”. Alla deriva, vele rotte e squarciate, albero maestro rotto per metà. Silver ordinò agli uomini di “arpionarsi ed agganciarsi”. Si fissarono all’imbarcazione. Alcuni uomini avevano paura avendo più volte sentito storie di fantasmi e scheletri che vivevano sulle navi fantasma e che non potevano essere uccisi. Silver, Lady Blake ed alcuni uomini salirono a bordo del vascello. Spada in una mano, pistola armata nell’altra.
Iniziarono ad esplorare il ponte. Tutti vicini a guardarsi le spalle l’uno con l’altro. Nulla, nessuna ombra di equipaggio. C’erano bauli chiusi, botti, cannoni arrugginiti e con alghe incrostate sopra. Salirono sul ponte di comando, entrarono nella poppa della nave guardando sempre con cautela eventuali ombre in movimento. Arrivarono nella cabina di comando, la porta era socchiusa. Silver lentamente la aprì, un forte cigolio, quello di una porta che era li bloccata da molto molto tempo. Un sobbalzo, un sussulto, alcuni uomini iniziarono a tremare. La scrivania del capitano, la sua sedia di comando, e li, come se li stesse aspettando, il comandante. Cappello blu, o almeno quello che ne rimaneva, ma cappello da corsaro, giacca blu e grigia, anche quella mezza consumata dal tempo, con bottoni d’oro inverditi dall’umidità. E poi lui, ormai scheletro, senza più carni, senza più pelle, con in mano ancora la sua pistola.