Mingus alle origini; alla ricerca continua di un equilibrio.
Instabile ma credibile, folle ma lucido, riservato ma esplosivo, lascia ai posteri (poveri jazzisti) un vero e proprio disciplinare musicale rigido ma elegante.
Nonostante la sua violenza.
“Solide radici nella tradizione del blues e una capacità quasi visionaria di includere nella propria
opera le tendenze più innovative del jazz a lui contemporaneo, hanno permesso a Charles Mingus di
creare una musica in cui le strutture formali tradizionali, reinterpretate con estrema libertà e unite ad
alcune modalità per certi versi arcaiche di gestione dell’organico, offrono una cornice sempre
intellegibile in modo chiaro all’interno della quale si collocano episodi dai caratteri più diversi.
Il vecchio e il nuovo convivono e contribuiscono a creare una musica originale, che stupisce per la
capacità di accogliere le suggestioni più disparate senza che il tutto risulti incoerente o si risolva in un
freddo esercizio di stile. La musica è sempre coinvolgente e vivace dal punto di vista ritmico; i contrasti
vengono esasperati e c’è un ampio margine di imprevedibilità, per cui il risultato finale varia sempre in
funzione del contesto. E proprio l’imprevedibilità, i grandi contrasti e la vivida espressività sono le
caratteristiche che ci hanno suggerito di cimentarci con il repertorio mingusiano; nella certezza che, in
concerto, questi brani consentono di valorizzare al meglio tanto le potenzialità del gruppo nel suo
insieme quanto le singole individualità dei solisti senza lasciare indifferente il pubblico.
Perché questa musica è, tanto per chi la suona quanto per chi la ascolta, semplicemente irresistibile.”
La musica è ovunque compagna naturale dell’uomo: essa e’ presente dalla nascita alla morte, è necessariamente collegata ai culti della religione, ai raduni di massa; e cambia i suoi modi per una culla che ciondola, per una bara che cala nella fredda buca, per una sposa vestita di bianco, per un esercito vittorioso, per un santo che sale agli altari. Luigi Fait
Introdotta da queste parole vorrei proporvi l’ascolto di una delle pagine piu’ belle dell’opera
L’opera è una gloria tutta italiana: le abbiamo dato i natali e abbiamo prodotto i piu’ grandi capolavori :Bellini, Verdi, Puccini, Rossini, Bel canto, teatri come La Scala, La Fenice, San Carlo sono valori che tutto il mondo ci invidia.
L’opera è anche la forma di spettacolo più ricca e completa che esista: c’è il canto, la scenografia, il ballo, l’orchestra dal vivo, la poesia … tutto. Oggi è stata in parte sostituita dal musical ma rimane comunque una forma d’arte altissima che penso tutti noi dovremmo almeno assaggiare.
Che ne dite di un piccolo morso accompagnati da qualche piccolo consiglio per gustarne appieno le molteplici bellezze?
Un bel di vedremo, l’aria più celebre da Madama Butterfly di Puccini.
Guardate il video dopo aver letto queste parole e il testo poetico, spesso di difficile comprensione mentre viene intonato dal soprano: potrete cogliere l’arte di Puccini nel legare perfettamente la musica alla poesia.
Cio-Cio-San, detta anche Madama Butterfly, è una giovane ragazza giapponese protagonista dell’omonima opera del maestro Giacomo Puccini su libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa. La prima esecuzione dell’opera avvenne alla Scala di Milano il 17 febbraio del 1904 ed il fiasco fu clamoroso ma ben presto, Cio-Cio-San è sposata al tenente Pinkerton, americano di stanza in Giappone: tuttavia lui è dovuto ripartire per gli Stati Uniti e l’ha lasciata in compagnia della serva Suzuki. Quest’ultima è scettica sulla possibilità che Pinkerton torni in Giappone ma Butterfly, in replica, si cimenta in una delle più belle pagine di musica mai scritte nei tempi: l’aria “Un bel dì vedremo”.
“Un bel di vedremo” da Madama Butterfly – soprano Cristina di Mauro, violino Alessandra Romano, pianoforte Sonia Vettorato
Ecco il testo:
Un bel dì, vedremo
Levarsi un fil di fumo Sull’estremo confin del mare
E poi la nave appare
E poi la nave è bianca.
Entra nel porto, romba il suo saluto.
Vedi? È venuto!
Io non gli scendo incontro, io no.
Mi metto là sul ciglio del colle
E aspetto gran tempo
e non mi pesa a lunga attesa.
E uscito dalla folla cittadina
Un uomo, un picciol punto
S’avvia per la collina.
Chi sarà? Chi sarà?
E come sarà giunto
Che dirà? Che dirà?
Chiamerà Butterfly dalla lontana
Io senza far risposta
Me ne starò nascosta
Un po’ per celia,
Un po’ per non morire
Al primo incontro,
Ed egli al quanto in pena
Chiamerà, chiamerà:
“Piccina – mogliettina
Olezzo di verbena”
I nomi che mi dava al suo venire.
Tutto questo avverrà,
te lo prometto
Tienti la tua paura –
Io con sicura fede lo aspetto.
È un’aria singolare: di rado il testo di un’aria si rivolge al futuro, preferendo di norma il racconto di fatti passati o, almeno, presenti. Invece Madama Butterfly guarda al futuro e sogna ad occhi aperti l’arrivo del tenente al porto. La genialità di Puccini combina ad un testo così evocativo alcune sonorità struggenti e dolci che cercano in tutti i modi di trasmettere all’ascoltatore/lettore la stessa emozione di Cio-Cio-San in quell’istante.
Le fantasticherie di Butterfly prendono il posto della realtà: la parte centrale descrive avvenimenti e discorsi che i due amanti si faranno. Ma non dobbiamo dimenticare che questa è tutta una sua fantasia: a questo punto dell’opera ancora non sappiamo come sarà l’incontro dei due al ritorno di Pinkerton. Eppure la profonda umanità di Butterfly ci commuove e ci intenerisce: è una fresca ragazza che si pone domande, che “aspetta”, senza sicurezze o certezze eccetto l’amore che nutre verso l’americano. Solo quello basta a calmare le ansie impersonate dalla scettica Suzuki che teme una delusione da Pinkerton: ma Cio-Cio-San sa aspettare, è fedele e fiduciosa.
Notate come Butterfly sia completamente devota allo sposo: è una devozione fortemente fisica ma altrettanto spirituale. A suggerirci la fisicità del suo amore sono quei versi “mene starò nascosta un po’ per celia un po’ per non morire”: la vicinanza a Pinkerton è un vivo stravolgimento del corpo; è una passione travolgente che ci riporta con la mente a quel sentimento fortissimo di Saffo e Catullo nei loro testi. Ma come già dicevo, è anche un amore spirituale che coinvolge in lei la fantasia, la creatività, gli stati d’animo più forti: la stessa aria, nel suo insieme, è un prodotto del suo spirito in attesa fiduciosa del ritorno di Pinkerton.
Vi state chiedendo come andrà a finire? Non lo svelerò qui ma vi rimando all’ascolto o alla visione dell’opera intera: spero solo di aver suscitato la curiosità ad andare oltre.
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