SPOSTARE I LIMITI SENZA ROMPERLI

SPOSTARE I LIMITI SENZA ROMPERLI

SPOSTARE I LIMITI SENZA ROMPERLI

Fiato alle donne per le donne, un suono soave per le mie orecchie.

Mica facile spostare o esplorare i limiti, confini, barriere, demarcazioni, senza rompere tutto. Una bella impresa, e di impresa vi racconto, e i limiti non si sono rotti, anzi .

Giovedì  26 gennaio alla Casa di Vetro c’e’ stata la presentazione del libro “ESPLORARE I CONFINI”  di Luisa Pogliana, esperta ricercatrice e scrittrice sociologica. Collabora con riviste professionali approfondendo il tema del management femminile e il lavoro delle donne sulla base della propria esperienza professionale come donna e manager.

Con lei all’incontro Maria Emanuela Salati , responsabile Formazione, Sviluppo e Welfare, ATM Milano e Marcella Mallenpresidente di Prioritalia per raccontare le loro esperienze in azienda.

SPOSTARE I LIMITI SENZA ROMPERLI
Maria Emanuela Salati , responsabile Formazione, Sviluppo e Welfare, ATM Milano e Marcella Mallen, presidente di Prioritalia. Luisa Pogliana e Maria Cristina Koch

Aria nuova nelle aziende quindi, portata dalla visione più aperta femminile. Non e’ una questione di conflitto tra uomo, che ha sempre ricoperto un ruolo di comando, e donna, ma una questione di mentalità più aperta per apportare innovazione ai principi usuali del management.

Alcuni uomini iniziano ad accogliere le innovazioni femminili e ad avere un occhio più attento, una sensibilità più attiva a comprendere alcuni importanti cambiamenti. Quando questo sodalizio riesce a combinarsi ne guadagna l’azienda.

Uno dei temi sensibili e’ per esempio la maternità.

Far capire e valutare i costi di una donna introdotta a livelli manageriali che deve abbandonare il lavoro temporaneamente per maternità quanto costerà all’azienda?

E’ assolutamente fondamentale valutare in termini economici e capire che sostenerla e favorire il suo rapido ritorno costa meno all’azienda che ricominciare da zero con un’altra donna: perciò mettere a stretto confronto costi-benefici . Perché? Molte, diventate mamme, non ritornano al lavoro per mancanza di servizi. E il lavoro di queste donne? La loro esperienza, formazione, capacità, potenzialità, motivazione costruita in anni che fine fa’? Finisce nel nulla tanto quanto il valore dell’azienda stessa che la perde per sempre. Dovrà l’azienda ricostruire quel tessuto femminile sul quale aveva investito e ricominciare da capo.

Quando questo supporto alla maternità si e’ verificato in un’azienda il rientro al lavoro è stato elevatissimo e in tempi limitati e l’azienda ne ha beneficiato totalmente, oltre a rendere la Neo-mamma una donna realizzata, che darà tutto  ai colleghi , ai collaboratori e all’azienda stessa.

Nel dibattito e’ emersa un’altra situazione che ha raccolto tutto il mio consenso e mi ha affascinata per quanto potesse risultare fin banale, ma geniale e a cui pochi avrebbero avuto il coraggio di pensare, perché inusuale. E’ proprio l’inconsueto che potrebbe veramente rovesciare una situazione.

Nel caso, in un’azienda piena di stranieri addetti principalmente a magazzinieri o lavori manuali sono stati fatti dei test per conoscere le competenze di ognuno. Si e’ scoperto che tra loro molti conoscevano 3/4  lingue, oppure alcuni erano laureati in discipline molto particolari ma non riconosciute in Italia. Bene, a queste persone sono state cambiate le mansioni sfruttando al meglio le loro specifiche competenze e posizionandoli in categorie piu’ attinenti alle loro caratteristiche.

L’azienda ha avuto un rilancio incredibile. C’e’ stato un ribaltamento, un’energia nuova, una vitalità dilagante e un entusiasmo che non potevano che apportare nuova linfa. Fatturato in miglioramento, nuovi posti di lavoro….pare poco?

I modelli rassicuranti e consolidati sono stati rovesciati dalla realtà’ evidente e dall’innovazione di favorire quella realtà diverse per ogni azienda. E’ un modo di pensare libero da cui può nascere il nuovo.  Partire dalla realtà, non confinarsi nei modelli stantii.

Queste nuove manager sono autodidatte, apprendono mentre agiscono.

Del resto io penso che la società di oggi dovrebbe incanalarsi in questa direzione dando spazio soprattutto alle donne che hanno caratteristiche genetiche particolari.

Per carità, siamo complesse e a volte “arzigogolate” ma abbiamo delle risorse davvero incredibili. Sara’ il fatto che portiamo nel grembo una piccola vita destinata a diventare un uomo o una donna; sara’ che ce ne dobbiamo distaccare appena lo abbiamo messo al mondo; sara’ che dobbiamo condurlo nei primi passi….sara’ perché diventiamo madri un po’ alla volta osservando nostro figlio e siamo madri diverse per ogni figlio perché ci adattiamo alle sue caratteristiche per meglio farlo emergere. Siamo più abituate ad adattarci a situazioni diverse; abbiamo una mente molto piu’ aperta e abituata ad accogliere e a dare. Sfido qualsiasi madre a negare che in base al carattere dei propri figli agisce in un modo piuttosto che in un altro. In famiglia, che in fondo e’ una piccola azienda, siamo l’ago degli equilibri e se non riusciamo in questo ruolo la famiglia, capita spesso, va a rotoli. Siamo mediatrici, osservatrici, teniamo sotto controllo tutti i componenti della famiglia, le loro personalità, le loro diverse caratteristiche, persino i “figli” pelosi, ma sembra ci venga naturale e a volte non gli diamo il giusto peso perche’ ci pare ovvio. Io dico che siamo proprio brave, invece.

Forse per questi motivi abbiamo una visione diversa di ciò che ci circonda e siamo naturalmente più abituate ad uscire dagli stereotipi e ad avere un progetto nella testa secondo il nostro punto di osservazione che e’ molto ampio.

Nella dirigenza  non siamo inquinate da prototipi di management tipicamente maschili perché e solo da poco che siamo, in qualche azienda, al posto di comando.

I manager vedono le cose dalla stessa angolazione, seguono le stesse regole di sempre. Quelle poche donne arrivate ai vertici recentemente  vivono una vita diversa, e vedono le cose diversamente non adeguandosi alle antiche e radicate visioni ma sulle proprie realizzando politiche aziendali non usuali e pero’ vincenti. Proprio perché sperimentano osservando la realtà , quindi partendo da ciò che hanno sotto gli occhi in quel momento, in quel periodo. Domani vedranno un’altra cosa, la prospettiva cambia, analizzeranno la nuova angolatura.

Fare un lavoro con soddisfazione, col cuore e con l’anima, sentirsi valorizzati e rispettati, ricoprire un ruolo che appaga e di cui si e’ ripagati economicamente e moralmente e socialmente e’ la realizzazione di una buona vita.

Il lavoro che queste donne stanno facendo e’ difficile ma fondamentale a creare una nuova    cultura aziendale per adottare soluzioni diverse con visioni più innovative e ridare energia ad una società tanto mortificata in questo periodo.

 “Vogliamo valorizzare e far circolare pensieri e pratiche innovativi che vengono dalle donne nel management. Per allargare gli orizzonti manageriali con beneficio per le aziende e per chi vi lavora.”

SPOSTARE I LIMITI SENZA ROMPERLI

Da “Esplorare i confini”

“CONTA QUESTA “NORMALITÀ” NON LE SPLENDIDE ECCEZIONI”.

Per dire che tutte possiamo trovare una possibilità, qualcosa alla nostra portata.

SPOSTARE I LIMITI SENZA ROMPERLI
Luisa Pogliana e Maria Cristina Koch

Aggiungo:

questa dovrebbe diventare normalita’, invece fa notizia

 

 

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CATTEDRALI: LA MIA. Ivory Coast, Abidjan – St Paul Cathedral

CATTEDRALI: LA MIA. Ivory Coast, Abidjan - St Paul Cathedral

CATTEDRALI: LA MIA

Ivory Coast, Abidjan – St Paul Cathedral

 

Un ricordo a cuore aperto

Quando Maria Cristina Koch, qualche settimana fa mi accenno’ che nel libro che mi ha regalato  “Curare la vita con la vita” c’era un paragrafo che s’intitolava “CATTEDRALI” tagliai corto dicendole che lo avrei letto con calma, ma in separata sede, non in quella e non in quel momento.

Arrivata a casa ho iniziato un rito, ma senza leggere quel paragrafo. Ho iniziato ad evidenziare altri capitoli e a mettere post-it, ma mi rendevo conto che sorvolavo su quello. Ho fatto passare qualche giorno e poi ho preso coraggio e l’ho letto. Stranamente non ho sottolineato quasi nulla e devo ammettere che per quanto il brano sia bello non ha suscitato quanto potessi immaginare poi.

L’ho riletto, l’ho riletto ancora e poi mi son detta che in qualche modo quel capitolo mi toccava, ma lo tenevo distante, consapevole del fatto che non c’e’ giorno da quando l’ho affrontato la prima volta, che non mi torni in mente quotidianamente.

Qualcosa mi turba, faccio fatica ad ammetterlo, lo rifiuto, ma quotidianamente ritorna.

Ritorna anche  che “CURARE LA VITA CON LA VITA” ha uno scopo ben preciso e cioe’ curativo!!!! Con tempi assolutamente anomali. Chiunque affronta un libro del genere  legge, incamera, metabolizza….poi gli effetti chissa’ quando si manifestano, chissa’ quando “questa azione terapeutica” agisce. Boh?

Non e’ vero. Boh non esiste. Boh e’ un rifiuto. Boh e’ una bugia con noi stessi…………

Ho scelto le parti piu’ esaustive di questo paragrafo ( pag 26), che si puo’ scaricare gratuitamente su www.lulu.com    www.scribd.com e leggerlo per intero, ma tanto basta per iniziare a pensare . A me ha creato subbuglio, ma attraverserò questo libro , voglio vedere dove mi porta.

 

E quindi alcuni brani  del capitolo in corsivo, il resto E’ LA MIA CATTEDRALE.

Da un brano di Raymond Carver (“Da dove sto chiamando“, Raymond Carver; Minimum fax, Roma 1999), la Dott.ssa Maria Cristina Koch lo ripropone in “Curare la vita con la vita” per una perfetta descrizione del lavoro terapeutico. Il terapeuta non sa, è un cieco che ha bisogno che l’altro disegni per lui e dia forma a ciò che contiene dentro di sé. Ma il terapeuta sa chiedere, porre domande, incalzare perché vuol sapere, forte del suo non sapere che è il suo strumento migliore. Anche l’altro vuol sapere, anche l’altro è incalzato dal bisogno di dar forma e il lavoro si avvia.

—”Cattedrali”, ha detto il cieco, “so che ci sono voluti centinaia di uomini e cinquanta o cento anni per costruirle, so che intere generazioni di una stessa famiglia a volte hanno lavorato a una cattedrale. Se vuoi sapere la verità, fratello, questo è su per giù tutto quel che so ma magari me ne puoi descrivere una tu, eh?—

Guarda caso si lo posso fare, guarda caso questo brano mi ha coinvolto, guarda caso l’intento di questo libro e’ quello che ognuno lo possa usare a suo uso e consumo per riflettere, per ricordare, per ricominciare, per lasciare andare, per “sputare” nel vero senso della parola, sensazioni che fanno bene e male allo stesso tempo, ma che poi possono cicatrizzare ferite aperte che stentano a chiudersi perché ce le teniamo strette strette dentro per paura di soffrire.

—Vorrei tanto che lo facessi. Mi piacerebbe un sacco. Se proprio vuoi saperlo, un’idea precisa non ce l’ho mica”. Io mi sono concentrato: come si fa a descriverla, anche a grandi linee? 

…………………..Non ci riesco proprio a spiegarti com’è fatta una cattedrale. Il fatto è che le cattedrali non è che significhino niente di speciale per me. Tutto lì”. E’ stato a quel punto che il cieco si è schiarito la gola, poi ha detto: “Ho capito, fratello. Non è un problema. Mi è venuta un’idea. Perché non ti procuri un pezzo di carta pesante? E una penna. Proviamo a fare una cosa. Ne disegniamo una insieme. Coraggio, fratello, trovali e portali qua” ha detto…………… ……………………………., ho trovato delle penne a sfera e ho trovato una busta di carta del supermercato .L’ho portata di là in soggiorno e mi sono seduto per terra vicino alle gambe del cieco. Ho spostato un po’ di roba, ho allisciato la busta e l’ho stesa sul tavolino.—

La prima volta che ho visto la Cattedrale di mio padre era schizzata su un tovagliolo di carta

—Il cieco si è tirato giù dal divano e si è seduto accanto a me sul tappeto. — 

Eravamo al mare, attendevamo con ansia l’arrivo per le vacanze di mio padre che ci raduno’ tutti intorno ad un tavolino e tiro’ fuori un tovagliolo di carta accuratamente piegato portato li’ per noi, esito di una riunione con altri  progettisti e lui lo aveva portato a noi per renderci partecipi, per raccontarci della sua grande avventura che stava per iniziare. Quanto amore in quell’attesa, quanto nel renderci partecipi.

—Ha passato le dita sulla busta. Ne ha sfiorato su e giù i margini. I bordi, perfino i bordi. Ne ha tastato per bene gli angoli.

“Perfetto”, ha detto. “Perfetto, facciamola”. Ha trovato la mia mano, quella con la penna. Ha chiuso la sua mano sulla mia. “Coraggio, fratello, disegna”, ha detto, “Disegna. Vedrai. Io ti vengo dietro.  Andrà tutto bene.—

Mio padre aveva avuto di recente il suo primo infarto, ma quell’avventura, quel viaggio dovevamo farlo tutti e 4 insieme. Lui progettava, viaggiava ( accompagnato sempre da mia madre), faceva il direttore dei lavori e noi eravamo con lui in ogni istante, anche a distanza. Insieme stavamo disegnando quegli anni della nostra vita.

—Comincia subito a fare come ti dico. Vedrai. Disegna”, ha detto il cieco. E così ho cominciato. Prima ho disegnato una specie di scatola che pareva una casa. Poteva essere anche la casa in cui abitavo. Poi ci ho messo sopra un tetto. Alle due estremità del tetto, ho disegnato delle guglie.

Roba da matti.

“Benone”, ha detto lui, “Magnifico. Vai benissimo”, ha detto. “Non avevi mai pensato che una cosa del genere ti potesse succedere, eh, fratello? Beh, la vita è strana, sai. Lo sappiamo tutti. Continua pure. Non smettere”.—

Le linee della Cattedrale, la sua forma erano dettate da uno studio approfondito sugli usi e i costumi del popolo africano e della comunità cattolica. Sono popoli che vivono ancora nelle tende e nelle capanne, che vivono in villaggi dove l’acqua si va a prendere al fiume a chilometri di distanza e la si porta in anfore di creta in testa, o in taniche di plastica,  e non c’e’ luce elettrica nei villaggi.

—Ci ho messo dentro finestre con gli archi. Ho disegnato archi rampanti. Grandi portali. Non riuscivo a smettere. Ho posato la penna e ho aperto e chiuso le dita. Il cieco continuava a tastare la carta. la sfiorava con la punta delle dita, passando sopra a tutto quello che avevo disegnato, e annuiva.

“Vai forte”, ha detto infine.—

La Cattedrale non aveva finestre con archi, ma grandi vetrate con forme che  richiamavano il profilo degli elefanti; la copertura era una enorme tenda di pianta triangolare a rappresentare la Trinità; quest’ultima moderna, portante e rivoluzionava, capovolgendo totalmente, le dinamiche della fisica. Cioè la  struttura era  sostenuta dall’alto, dal tetto;  invece che dal basso, ossia dalle  fondamenta.

—Ho ripreso la penna e lui ha ritrovato la mia mano. Ho continuato ad aggiungere particolari. Non sono certo un artista. Ma ho continuato a disegnare lo stesso……………—

Negli anni della Cattedrale mio padre ha avuto altri infarti e un intervento di By-Pass. Eravamo tutti consapevoli che quel progetto avrebbe potuto ucciderlo per  l’intensita’ ( 30 mesi di lavori ininterrotti) , i viaggi continui, la responsabilità, una tecnica nuova sperimentale di progettazione e di calcolo. Un’opera unica, l’apice della realizzazione di un progettista. Ma tutti insieme abbiamo deciso che a costo della vita quel progetto doveva realizzarsi. 

—E così abbiamo continuato. Le sue dita guidavano le mie mentre la mano passava su tutta la carta. Era una sensazione che non avevo mai provato prima in vita mia.—

Tornati dalle vacanze mio padre ha coinvolto me e mio fratello (studenti di architettura al primo anno) in quel progetto avveniristico visto per la prima volta su un tovagliolo di carta. Ci ha raccontato tutti i dettagli del progetto, tutti i significati in esso evidenti che rispecchiavano la cristianità. La tenda della copertura e’ azzurra come il cielo africano e al suo interno contiene 7 stralli, così si chiamano i cavi d’acciaio inguainati e affogati nel cemento armato. La loro tensione permette le controforze per sostenere tutta la struttura. Indicano le 4  virtù’ CARDINALI  (la prudenza – la giustizia – la fortezza – la temperanza) e le tre virtù TEOLOGALI (la fede – la speranza – la carità), ma anche i 7 sacramenti.

CATTEDRALI: LA MIA. Ivory Coast, Abidjan - St Paul Cathedral
Ing. Aldo Spirito durante i lavori mentre controlla la copertura in cui saranno inseriti gli stralli

Gli stralli uscendo dalla tenda di copertura si agganciano ai campanili che stilizzati indicano il Cristo in Croce e che altissimo abbraccia la città di Abidjan  capitale economica e governativa de  la République de Côte d’Ivoire  , ma visti lateralmente sembrano  la figura di un uomo che trascina il suo pesante fardello. La piazza dalla quale sorgono i campanili ha un’armonica forma di zanne d’elefante.

Modernità, tecnologie avanzate, spiritualità e tradizioni africane in una simbologia esasperata, concreta che man mano si sono compiute sulla terra rossa dell’Africa. Quando la copertura e’ stata agganciata ai campanili e sono state tolte le impalcature che la sorreggevano, tutti gli operai sono fuggiti fuori dalla costruzione temendone il crollo immediato. Rimase mio padre al centro, nel punto staticamente più pericoloso a dimostrare che quella struttura, concettualmente e staticamente costruita al contrario, reggeva. Che magnifico momento avrà vissuto e , se io lo racconto, e’ perché lui lo ha trasmesso con lo stesso coraggio di quel preciso istante in cui l’ultimo puntello e’ stato rimosso.

Poi lui ha detto: “Mi sa che ci siamo. Mi sa che ce l’hai fatta”, ha  detto. “Dà un po’ un’occhiata. Che te ne pare?”—

Nel 1985 La Cattedrale di Abidjan e’ stata consacrata da Papa Wojtyła Giovanni Paolo II, con una cerimonia lunghissima e con tutta la comunità cattolica presente che con musica e balli ha accompagnato l’olio sacro sparso sull’altare, e tutte le funzioni. Le panche all’interno potrebbero essere di più ma sono state disposte a debita distanza per permettere loro di ballare. Per gli africani e’ pura gioia il momento della messa. Con i loro vestiti ricchi di colori vivaci, cantano e ballano durante le funzioni.

—Ma io ho continuato a tenere gli occhi chiusi. Volevo tenerli chiusi ancora un po’. Mi pareva una cosa che dovevo fare. “Allora?”, ha chiesto. “La stai guardando?”

Tenevo gli occhi ancora chiusi. Ero a casa mia. Lo sapevo. Ma avevo come la sensazione di non stare dentro a niente.—

La prima volta che sono entrata nella Cattedrale l’abbraccio di mio padre mi teneva stretta per le spalle, scendeva dai campanili un cono di luce fino a terra ed ebbi, io scettica, la sensazione che Dio faceva capolino per darci il benvenuto in quella casa per lui costruita con estremo amore e passione, a costo della vita. Fu un attimo che mi gelo’ il sangue ma che mi diede grande pace, certa in quel momento che nulla mai ci sarebbe successo. Mio padre, col suo languido sguardo, cercava il nostro consenso alla sua grande opera, come un compito fatto bene e premiato col massimo dei voti.

In contemporanea fu realizzato anche il Santuario alla Vergine Maria, ma questa e’ un’altra storia…………………..

—”E’ proprio fantastica”, ho detto.—

Due anni dopo mio padre e’ morto d’infarto e io, per quasi 30 anni,  non ho mai avuto la forza di parlare di tutto ciò.

Dopo la sua morte in molti hanno cercato di appropriarsi ingiustamente della paternità, anche solo in parte, di quest’opera solo perché hanno partecipato al progetto, ma non un solo disegno e’ uscito dallo Studio Ing. Aldo Spirito senza in calce la sua firma. Nessun calcolo, nessun bozzetto o schizzo o tavola e’ arrivato in cantiere senza il suo benestare. Lo dimostra il fatto che dopo la sua morte nessuno dei professionisti che lo hanno affiancato in questa avventura se l’e’ sentita di proseguire senza di lui; noi figli compresi  ancora acerbi studenti.

Perché raccontarlo, dunque, adesso?

Perché la vita e’ strana, perché  mi e’ capitato per le mani questo libro “Curare la vita con la vita”. Quale altra medicina ci potrebbe essere se non la stessa vita, la riflessione, il dialogo con se stessi e con gli altri. Quale miglior spunto di un libro donato con tanta nobiltà e consapevolezza che potesse essermi d’aiuto.

Perché per una serie di casi fortuiti recenti amici, incontrati per lavoro in tutt’altro settore, sono stati ad Abidjan e hanno fotografato la Cattedrale e, quando ho chiesto qualche foto, me le hanno date con estrema generosità.

Perché mio padre e’ presente sempre nel mio cuore, come e’ giusto che sia, ma raramente nella mia mente e perché, stranamente, lo sento intorno a me in questo momento e ho deciso di condividere questo bellissimo ricordo, convinta che parlarne mi curi una ferita da troppo tempo aperta.

Ringrazio la Dott.ssa Maria Cristina Koch per avermi dato il libro e aver scatenato l’animo;

L’Ing. Cesare Bonadonna per avermi inviato le sue foto© della Cattedrale fatte l’anno scorso;

Ringrazio anche Sistema Eduzione che, passo passo mi sta dando input che stanno migliorando la mia vita, a volte senza che nemmeno me ne accorgo, che non e’ del tutto vero. Sicuramente una metodologia di ragionamento porta a meditazioni profonde che ampliano la visione della propria quotidianità e la migliorano.

Gallery

CATTEDRALI: LA MIA. Ivory Coast, Abidjan - St Paul Cathedral
Cattedrale di Abidjan Ing. Aldo Spirito – foto di Cesare Bonadonna©
CATTEDRALI: LA MIA. Ivory Coast, Abidjan - St Paul Cathedral
Cattedrale di Abidjan Ing. Aldo Spirito – foto di Cesare Bonadonna©
CATTEDRALI: LA MIA. Ivory Coast, Abidjan - St Paul Cathedral
Cattedrale di Abidjan Ing. Aldo Spirito – foto di Cesare Bonadonna©
CATTEDRALI: LA MIA. Ivory Coast, Abidjan - St Paul Cathedral
Cattedrale di Abidjan Ing. Aldo Spirito – foto di Cesare Bonadonna©
CATTEDRALI: LA MIA. Ivory Coast, Abidjan - St Paul Cathedral
Cattedrale di Abidjan Ing. Aldo Spirito – foto di Cesare Bonadonna©

 

 

CATTEDRALI: LA MIA. Ivory Coast, Abidjan - St Paul Cathedral
Cattedrale di Abidjan, Ing. Aldo Spirito – foto di Cesare Bonadonna©

ciao Papa’

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Pirandello? No, curare la vita con la vita

Pirandello? No, curare la vita con la vita

Pirandello? No, curare la vita con la vita

UNO, NESSUNO E CENTOMILA.

Non so se tutto cio’ abbia un senso oppure no, ma secondo me si. Mi sono imbattuta, no! Mi sono scontrata, nemmeno! Mi e’ piovuto dal cielo, neanche!

In fondo l’ho cercato, ecco, forse la verita’ e’ proprio questa. Una ricerca inconsapevole, inconscia, ma una ricerca. Altrimenti non riuscirei a spiegarmi come mai mi trovo tra le mani CURARE LA VITA, CON LA VITA, proprio adesso.

Già  il titolo la dice  lunga.

E già! E’ facile, cosa ci vuole. No, un attimo!

Curare la vita cosa s’intende’ che la vita e’ malata? Si in fondo la vita e’malata, sfido chiunque a dirmi che la vita e’ rose e fiori.

Perche’ e’ malata? Perche’ ce n’e’ sempre una. Voglio ancora incontrarla la persona che ha una vita così bella, senza problemi, piena di soldi, successo, e tutto fila liscio.

Proprio l’altro giorno guardavo un programma in tv che parlava delle morti delle star. Vogliamo parlarne? Cosa mancava alla splendida Marilyn, o a Prince o a Amy Winehouse. A vedere dall’esterno, un bel nulla, ma e’ ovvio e palese che non sia stato così ed e’ lampante quanto le loro vite fossero davvero profondamente infelici. Solo il farsi coinvolgere dalle droghe senza più essere se stessi fino a morire puo’ far capire come un essere umano sia fragile a tal punto da desiderare di non essere piu’ consapevole, a voler non essere.

Perché  una volta che si muore si e’ risolto tutto? No! E’ che non c’e’ più niente, non c’e’ più da risolvere, non c’e’ più vita.

Ecco perche’ la vita e’ malata, a parer mio. E quindi come la curi la vita? Imbottiamoci di psicofarmaci; andiamo a fare gli eremiti fuori da questa societa’ schifosa che ci rifiuta perche’ siamo troppo belli, troppo brutti, troppo ricchi o troppo 1000 altre cose. Curiamo la nostra vita scappando, trovando tante scuse.

“e’ solo la vita che puo’ curare la vita”.

Benedetto Croce

Apro il libro, guardo l’indice: singolare!

Alcuni paragrafi  m’incuriosiscono subito e vado alla pagina e inizio a leggere…….non capisco nulla. Ho troppa fretta.

Mi fermo, prendo dei post it e un evidenziatore e….  inizio a mangiarlo questo libro.

Sottolineo, metto linguette fuxia, ma non mi sento tanto bene.

Troppi input in brevissimo tempo.  Adesso ho la conferma.

Non e’ la prima volta che affronto questi  argomenti che riguardano lo studio del ragionamento, il potenziamento di se stessi,  nella ricerca delle capacità di ognuno  di diventare protagonista della propria vita. Arrivo all’approccio sempre diffidente, poi m’incuriosisco e mi sento partecipe fisicamente e emotivamente e ho la sensazione di entrare in un circuito che mi coinvolge totalmente.

Sento nella testa come se avessi una biglia di un flipper che inizia ad andare da una parte all’altra del pensiero, da una riflessione all’altra fino a sfinirmi.

 Pirandello? No, curare la vita con la vita

 

Mi fermo, devo metabolizzare la simbologia utilizzata per assorbirla farla mia e renderla fruibile, ossia veritiera di una  soluzione di ragionamento che mi rivela qualcosa di fondamentale.

Nella realta’ mi rendo conto che era li’, a portata di mano, bastava soltanto girare lo sguardo da quella parte per scorgerla e per esserne totalmente affascinata per la sua rivelazione e, in fondo, per la sua semplicita’.

Maria Cristina Koch, autrice di CURARE LA VITA CON LA VITA, avvisa i naviganti del testo (perche’ e’ una navigazione, con mal di mare e avvistamenti e isole che emergono dall’acqua all’improvviso), “Ipertesto”, così lo definisce, che ha immaginato di scriverlo affinche’ il lettore possa apprenderne gli stimoli per poi montarli e smontarli a suo piacimento.  E solo leggendo mi rendo conto cosa voglia dire e quale sia la sua sfida.

Sono irrequieta, leggo un capitolo, mi alzo, vado a prendere un bicchier d’acqua e sento che la mente parla con se stessa e con me, dalla scrivania alla cucina e ritorno.

Continuo a leggere affamata. Mi rialzo scattando dalla sedia….non e’ possibile, ma come ci riesce?

Continuo, mi emoziono e mi commuovo.

E’ pazzesco. Sento la mente scendere in una profondita’  interessante, non sconosciuta ma solo svelata e riconosciuta.

Aprire la mente, questo sta succedendo. Banalmente questo.

Non che prima non mi succedesse ma, come nella vita di tutti, si e’ coinvolti dai ritmi della quotidianita’ che spesso non concedono spazi, neanche per pensare. Metti il turbo e vai.

Non leggevo un libro da un secolo, per esempio. Mancanza di tempo oppure tanta stanchezza. Quando vado a dormire, mi basta appoggiare la testa sul cuscino che parto per la tangente del sonno, stanco e senza sogni; non arrivo alla fine di una pagina e, se ci riprovo il giorno dopo, mi tocca rileggere le mezza pagina del giorno prima col risultato analogo di crollare a meta’.

Per cui dopo vari tentativi ho desistito, il libro, qualsiasi esso sia, non procede rimanendo a pagina 1.

Adesso, con questo libro tra le mani, la mente si sofferma pungolata da imput  naturali e stupefacenti, basta ascoltarli e sento il cervello aprirsi a nuovi orizzonti e confini.

E’ fantastico!  E’ come bere un paio di bicchieri di Sassicaia a 14°

Quasi due anni fa mia figlia si era iscritta a scienze della formazione. Aveva scelto accuratamente il suo percorso di studio mostrandomi tutti i corsi che avrebbe fatto per  l’interesse scaturito in lei di psicologia, filosofia, pedagogia. Ero molto fiera di questa scelta e , conoscendo la sua fame di sapere, pensavo fosse il percorso che le calzava a pennello. Questa ingordigia era dettata da anni di fame, curati in ospedale affinche’ non morisse, e da psicoterapia serrata per aiutarla a riconoscere e sconfiggere i fantasmi dentro di lei.

Il percorso universitario, pian piano, alimentava la curiosita’ e apriva la mente, mettendo in un angolo le sue dipendenze. Constatavo che, di giorno in giorno, le chiacchiere con lei erano passate dalle calorie a Freud,  Fromm,  Lacan, Camus, Sartre, Hannah Arendt, Kierkegaard , Schopenhauer, Foucault,  la condizione umana, la filosofia della prassi umana. . Ero grata che questi filosofi, psicologi alimentassero il suo cervello scacciando in un angolo tutte le manie e persecuzioni che la mente aveva ospitato fino a quel momento.

Addirittura mi torturava, appena sveglia al mattino, parlandomi di Freud e delle scoperte, che studiandolo, aveva fatto. Devo ammettere che alla terza mattina consecutiva in cui alle 6,30 mi voleva raccontare cosa sosteneva FreudFrommLacan & company  avevo chiesto pieta’ per il mio cervello.

Ci facemmo una lunga e sonora risata. Io fui salva, le mie orecchie pure e il mio cervello anche….ma solo fino a cena!

Le si stava riaprendo il cervello ed era pronta ad accogliere informazioni utili a riaccendersi alla vita.

E’ quello che sta succedendo a me. Riaprire il cervello alla riflessione e questo mi fa vedere la vita in tutt’altro modo e con altre prospettive

Maria Cristina Koch ha studiato una vita perche’ a me succedesse questo e succedesse oggi che la vita mi e’ diventata pesante e ostile.

Mi racconta che aveva 18 anni quando entro’ in aula dell’universita’ per una lezione di fisica e lesse “Triste è quel discepolo che non avanza il suo maestro..”Leonardo Da Vinci  e penso’ “questo voglio fare nella vita! Mettere a disposizione degli altri le cose che ho sperimentato”.

“Ossia, ho questo giocattolo x le mani ( la mia vita, le cose che ho studiato, scoperto, le esperienze attraverso gli altri, gli incontri, i viaggi. L’Africa!)  Le racconto e poi vedo le persone che uso personale ne fanno “

……parla di un giocattolo, a parer mio per due motivi:

uno potrebbe essere il cubo di Rubik ( tanto devi provare fino a trovare la soluzione delle 6 facce i cui 9 quadratini hanno lo stesso colore)

L’altro e’ cercare di prendere le cose con ironia, allegria, positivita’, sfida come in un gioco a due tra te e te stesso.

Vi racconto un pezzetto di  “Curare la vita con la vita”

“Uno, nessuno e centomila”. (Pirandello? No. Curare la vita)

………c’è uno slogan che ha un grandissimo successo: “Essere se stessi”. Suona bene, sembra molto chiaro, immagina delle verità e delle identità, guida affidabile nei marosi dell’esistenza.

Sintetico e vibrante, ci sprona a drizzare la schiena, ad avviarci a passo sicuro nel sentiero della nostra esistenza.

Ma lo scintillare di questo motto da ricamare sul petto per potersi pensare cavalieri senza macchia, è uno scintillio truffaldino……..

Che cosa mai significa “essere se stessi”?

 In un seminario di tanti anni fa sulla comunicazione, uno psichiatra partecipante tentava di negare il successo palese di un esercizio di induzione di comportamento avvenuto il giorno prima: sì, certo, era vero, si  era mosso effettivamente in quel tal modo ma era confuso, forse era anche distratto, insomma ieri non era se stesso. Il docente lo considera con attenzione, siamo tutti sospesi in silenzio, poi si china verso di lui e, incuriosito, gli sillaba sul volto: e quando tu non sei te stesso, chi sei?

È una di quelle scene che conservo come icona, nel reliquiario dove ammasso i reperti che il mondo e l’esistenza mi offrono e mi permettono di utilizzare.

 A fianco di questa, un foglietto: Snoopy che sentenzia:

nessuno è perfetto, ma chi vuol essere nessuno?

Essere se stessi, appunto, uno slogan fortunato, mi ricorda il bombastium di un vecchissimo racconto di Paperino, una sostanza magica e misteriosa che, aggiunta in un contenitore qualunque, ne trasformava il contenuto nel cibo preferito da chi lo aggiungeva. Oppure lo sciroppo per la tosse di Mary Poppins che cambiava sapore a seconda del bimbo che lo ingoiava ma restava prelibato per ciascuno.

 Pirandello? No, curare la vita con la vita

Non voglio negare che lo slogan abbia potuto avere effetti brillanti, ispirare coraggio, suggerire fermezza, rafforzare qua e là caratteri insicuri: la capacità suggestiva è esattamente qui.

Poiché non vuol dire nulla di preciso ma ha una forte attrattiva, lo slogan viene riempito di significato da chi lo prende in considerazione, lo traduce in una esortazione che poi segue.

 Lo sforzo di padroneggiare sentimenti o timori, la soddisfazione di esserci riusciti, rientrano in circolo a riempire ancor più di rinnovato valore lo slogan stesso.

Ma se fa bene, perché attaccarlo, perché svilire a slogan un’esortazione che sembra parlare d’etica?

 Beh, ha effetti collaterali pesanti, impone l’adesione a presupposti non criticabili.

Molto semplicemente, “essere se stessi” presuppone che ciascuno di noi abbia almeno un sé più vero e più sé degli altri.

Vero in quanto unico, il volto di sé.

Ecco, a me questo presupposto pare fin pericoloso perché civetta con l’idea di un pensiero unico più vero e più giusto degli altri. E questo mi spaventa ……………..

( pag.22)

Ho scelto le parti piu’ esaustive di questo paragrafo,che si puo’ scaricare gratuitamente su

www.lulu.com    www.scribd.com

E leggerlo per intero, ma tanto basta per iniziare a pensare . A me ha creato subbuglio tutto ciò, ma attraverserò questo libro , voglio vedere dove mi porta.

 

 

“La cosa piu’ affascinante e’ vedere le persone come useranno questo modo di ragionare e approcciare alle cose della vita.”

Maria Cristina Koch

 Pirandello? No, curare la vita con la vita

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IL MIO #JOB CLUB E’ COME UN PICNIC SUL BALCONE

IL MIO #JOB CLUB E’ COME UN PICNIC SUL BALCONE

IL MIO #JOB CLUB E’ COME UN PICNIC SUL BALCONE

Il mio Job Club e’ iniziato circa un paio di mesi fa e si e’ svolto in QF, un co-working creato da due giovani neo mamme.

Casualmente, o forse no, il gruppo che si e’ presentato fin dalla prima sera era formato da donne, tranne un giovane che alla volta successiva ha ben pensato di non ripresentarsi. Unico uomo in mezzo a tanto gentil sesso si sara’ sentito un pesce fuor d’acqua. I nostri incontri settimanali sono stati decisamente unici e incredibili, man mano che si procedeva in questo percorso mi rendevo conto di un gruppo unico e molto forte. Competenze di elevato livello, donne e mamme dai 50 anni in giu’, li, insieme, per cambiare o cercare un lavoro; in ogni caso alla ricerca di una propria dimensione non solo professionale.

IL MIO #JOB CLUB E’ COME UN PICNIC SUL BALCONE

La nostra guida Daniela Tidone della Scuola triennale di counseling – Sistema Eduzione ha condotto il “gioco”, i test, le analisi.  Quante volte ci ha detto quanto la scuola di counseling le ha cambiato la vita. Non faccio fatica a comprenderlo.

IL MIO #JOB CLUB E’ COME UN PICNIC SUL BALCONE

Il percorso si snocciola di volta in volta non solo nello spiegare come si fa un curriculum o un colloquio di lavoro. Notizia assai interessante, ma non il cuore della questione o della situazione da tutte noi vissuta.

Nella realtà siamo state invitate, una per una, a cercare non solo un nuovo lavoro, un nuovo settore nel quale inserirsi anche a 50 anni, ma a conoscerci meglio e a verificare se attraverso competenze messe sul piatto, anche non lavorative,  ci fosse qualcosa che ci illuminasse lo sguardo come quando si pensa ad un sogno, si pensa a qualcosa che appaga.

Ecco quindi che si stravolgono le aspettative e le si proietta in campi che mai ci saremmo aspettate di voler esplorare. Bellissimo anche il desiderio di volersi aiutare l’un con l’altra.

Così abbiamo creato una sorta di Banca Ore attraverso la quale ognuna ha messo a disposizione del gruppo le proprie competenze e, previo accordo,  avrebbe potuto approfondire o capire o imparare qualche competenza delle altre per procedere nella ricerca del nuovo lavoro. Oppure avrebbe potuto analizzare qualche argomento utile alla propria vita.

Il gruppo ha subito qualche abbandono, ma il nucleo, presente fin dalla prima sera, ha continuato sempre più coeso e unito, con intese inaspettate e feeling che si stanno consolidando.

Oggi riflettevo sul valore di questo percorso che sta dando dei frutti non indifferenti e non soltanto nella ricerca del lavoro.

il Job Club ha come scopo quello di mettere insieme persone diverse che uniscono le proprie energie in un momento dove la ricerca del lavoro può essere difficile, avvilente castrante angosciante e deprimente.

Un vecchio detto dice “L’unione fa la forza”. E’ vero!

Condividere le proprie esperienze, o angosce , o difficoltà fa sentire meno la solitudine di un periodo difficile.  Discuterne insieme, aiuta a cercare insieme alternative. Cio’ che non viene in mente a te può venire ad un altro. L’esperienza dell’altro può suggerire soluzioni a te.

Non so per quale motivo ma spesso, in questi ultimi mesi, questo Job Club mi ricorda quando sono rimasta in cinta di Veronica, la mia prima figlia. Non ci si rende conto di aspettare un bimbo fino a quando non si muove per la prima volta dentro di te. Tutti dicono che quel movimento assomiglia alle farfalle nella pancia dopo un colpo di fulmine. Non e’ così. In quel caso senti che sono i tuoi organi che si muovono e provocano quello sfarfallio. Mentre quando e’ un bimbo, ci si rende conto che e’ altro da te che si muove all’interno di te e il fruscio leggero, appena accennato e’ la prima consapevolezza che stai portando dentro di te un altro essere umano  che ti appartiene, almeno fino al parto.

Potresti parlarne con molte donne, anche tua madre che ha sentito te per la prima volta in modo analogo, ma non sara’ mai come l’hai sentito tu. Con il secondo, il primo movimento e’ stato totalmente diverso. Comunque in quel meraviglioso viaggio avventura, inevitabilmente, mi sentivo sola e quella sensazione non mi piaceva, nonostante fossi affascinata ogni giorno da un miracolo così incredibile come una gravidanza, per giunta la prima.

Mi iscrissi ad un corso pre-parto di acquagym e solo lì riuscii a condividere ogni minuto di quella fantastica avventura, con gli stessi entusiasmi e le stesse paure e, quando abbiamo partorito, siamo rimaste amiche continuando a condividere argomenti di genitori e figli, l’adolescenza, la maturità, l’università continuando a scambiarci informazioni e a confrontarci.

Così percepisco questo Job Club, nato per la necessita’ di essere aiutata a trovare la strada e gli strumenti per reinserirmi nel lavoro e adesso lo sento come la nascita di una nuova vita. All’inizio mi dicevo mha! Servirà a qualcosa, dove mi porterà.

Mi sta portando in situazioni che mai avrei lontanamente immaginato. Mi sta conducendo in ambienti nuovi, contatti interessanti, la disperazione dell’inizio e’ totalmente cambiata mutandosi in nuovi entusiasmi e scoperte.

Qualcuna di noi ha cambiato lavoro, qualcuna sta elaborando come migliorarlo e come farlo evolvere affinché le calzi meglio addosso,qualcuna con il supporto della competenza di un’altra sta avviando un nuova strada, qualcuna sta cercando di focalizzare che direzione deve prendere nel prossimo futuro.

Tutto ciò e’ grandioso e, aggiungo che, mentre la società  lavorativa ti fa sentire emarginato per eta’, perché  non ti e’ stato rinnovato un contratto, perché sei stato all’estero per 1 anno o perché hai un curriculum variegato e vieni considerato un’inconcludente o poco affidabile, questo percorso rafforza le capacita’ di ognuno, rende giustizia alla personalità di ognuno, rimettendolo al centro dell’attenzione per il suo stesso valore; insomma energia pura che  ricarica le pile.

Così con il gruppo, abbiamo deciso di vederci anche fuori dal co-workng che ci ospita, di frequentarci e continuare a confrontarci cercando di aiutarci.

Mai avrei immaginato che sabato scorso potessimo organizzare una delle cose che più mi rimarranno in mente di questa avventura.

Minacciava temporale ma avevamo organizzato un Picnic serale per stare insieme un paio d’ore, dopo aver cercato varie soluzioni  e avendo il desiderio comunque di trovare un posto tranquillo ed economico.

Francesca ha messo a disposizione una pagnotta di pane nero e cereali e ben due bottiglie di vino bianco da lei imbottigliate. Il resto del gruppo ha portato qualcosa che accompagnasse quel meraviglioso pane.

Ma dove?

Dopo vari messaggi e ipotesi, Francesca ci ha ospitato sul suo balcone all’ottavo piano da cui si vedono le montagne .

Ha apparecchiato per terra con un telo rosso e cuscini giganti, e in 2 mq di spazio ci siamo godute la serata.

 

Niente pioggia ma una gradevole brezza, un cielo limpido  e un tramonto meraviglioso che calava sulle montagne in lontananza. Pane, vino, creme di formaggi, bruschette …uno spettacolo.

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Un picnic su quel balcone che non dimenticherò mai grazie al Job Club.

4 donne, nuove amiche nella stessa barca, nelle stesse necessita’, piene di ricchezza interiore e competenze in campi diversi,  ma spontaneamente ritrovate  per il piacere di unire le forze e conoscerci meglio.

Il Job Club mi ha permesso di entrare in contatto con il Self Empowrment di Massimo Bruscaglioni e il Conseling di Maria Cristina Koch, con sistema Eduzione e Monica della Giustina e La Casa di Vetro.

Sto conoscendo persone ricche di umanità, positive, in gamba e pronte ad essere di supporto per un consiglio o un confronto. Chissà  cos’altro mi aspetta.

Se penso a qualche mese fa, quando ero disperata, mi guardo indietro e con grande gioia vedo quel periodo lontanissimo e mi sento piena di nuove speranze e avventure da scoprire.

Anche solo per questo il Job Club ha fatto effetto.

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COUNSELING IN VALIGIA

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Mi ritrovo, non so per quale arcano motivo, in un vortice di nuove esperienze e coinvolgimenti grazie al fatto che ho perso il lavoro. Qualcuno, mesi fa, mi aveva detto di prendere questo “dramma” come un momento di fortuna, di riflessione e di scoperta.

Mi disse un’amica: “ stringi i denti, trova un punto, focalizzalo, credici e perseguilo.” Strano ma vero si sta rivelando tale.

Dopo i primi due mesi di panico e affanno totale, paura, solitudine, dopo che ho bussato a tutte le porte che conosco, che ho spedito centinaia di CV a parenti, amici, conoscenti e sconosciuti ; dopo che ho pianto, ho riso istericamente per la goffaggine della situazione, o per colloqui assurdi o per contesti ridicoli o per offerte di lavoro impossibili, dopo che ho messo annunci di Dog sitter e Baby sitter a cui non ha risposto nessuno, mi son detta: “ piu’ cerchi e ti affanni, meno troverai. Più senti il fallimento, più morirai dentro e fuori e, insieme a te, i ragazzi, tua madre, la tua meravigliosa creatività; diventerai una persona odiosa e antipatica e piagnona e, soprattutto, aumenteranno le rughe dello stress”.

Così ho organizzato la giornata: meta’ ricerca lavoro tramite il web, gli annunci, gli enti accreditati, i vari Job vattelappesca ( ma vestita e truccata, anche se seduta al pc di casa); meta’ ho alimentato i sogni e gli interessi andando ad eventi, corsi di formazione, seminari, incontri e scrivendo articoli su questo blog che e’ diventano un mezzo, un tramite per incontrare una marea di persone e storie bellissime e interessanti, impegnative e strane. Scoperte ed  esperienze.

Mai lavorato così tanto nemmeno l’anno scorso per Expo. Giornate della durata di 20 ore e solo 4 di sonno, e il cibo, spesso, un optional.

Mai come in questi ultimi mesi ho ricevuto arricchimenti e ho potuto constatare che vivo in una citta’ ricca di occasioni e opportunita’. La difficolta’ sta nello star dietro a tutto e a tutte le iniziative e sapere come coglierle, sfruttarle, renderle proprie e come trasformarle, finalmente in una svolta positiva e costruttiva.

Intanto in questi mesi son cresciuta, son piu’ forte, sono migliore perche’ non sono morta di disperazione. E gia’ questa e’ una vittoria non da poco.

Avevo una valigina “sgarrupata” e pesante quando ho iniziato questi recenti 6 mesi, oggi ho una valigia di quelle grandi, piene di tasche interne ed esterne, con le ruote e la maniglia per trasportarla perche’ ogni giorno si riempie….…tra un po’ mi tocchera’ comprarne un’altra. E’ arancione, perche’ io possa vederla anche in lontananza e riconoscerla perche’ questa valigia e’ mia e, benche’ pesante, me la porto da sola e con fierezza.

A 54 anni, due figli cresciuti da sola, una separazione conflittuale alle spalle che dura da 16 anni, una vita  pesante e dolorosa, violenze psicologiche, patologie dissociative in famiglia e chi ne ha piu’ ne metta, vado avanti con energia indefessa e coraggio, e scopro solo oggi, con stupore, che tante cose non le ho capite.

Con le esperienze che ho vissuto, pensavo di avere compreso alcuni meccanismi.

Che presunzione!?!

Spesso, mia madre che ha 83 anni mi dice che non ha capito un tubo della vita….lo dice ironicamente, pero’ in fondo non ha tutti i torti.

…….E ma io son fatta così e comunque; e ma io, e ma io. Si, pero’, ma io.

E qui inizia l’avventura.

COUNSELING IN VALIGIA

Domenica scorsa sono stata  ad una riunione , alla Casa di Vetro, sede di Sistema Eduzione dove si concludeva un ciclo di incontri di Job Club. Mi rammarico tantissimo di non aver portato il registratore perché quello a cui ho assistito e ascoltato e’ stato illuminante.

 

Non e’ la prima volta che raggiungo la sede di queste riunioni un po’ perplessa, ma come iniziano a parlare  sembra che il cervello si scuota e pone la massima attenzione attivando tutti i sensori anche quelli dormienti.

La Dott.ssa Kock ( il cognome ricorda un po’ il termine coach, ma in realtà e’ un Guru, che mi piace molto di più perché  di maestri ce ne sono tanti ma di “illuminati” ben pochi, e’ una questione di carisma) si alza e inizia:

“Come mettersi in sicurezza”, che vuol dire, cosa significa mettersi in sicurezza?

In qualsiasi circostanza e’ necessario imparare a mettersi in sicurezza, che non e’ un fenomeno egoistico, ma un atteggiamento che va tenuto sempre per dare agli altri, anzi serve per non mettere l’altro in pericolo.

Si ma che vuol dire? Che cosa sta cercando di comunicarci.

Si ferma, ci guarda e con la massima semplicità ci fa un esempio molto semplice ma esplicativo e cioè quando siamo in aereo pronti al decollo e l’equipaggio illustra ai passeggeri come reagire in situazione di forti turbolenze e pericolo, da dove scendono le mascherine dell’ossigeno e come indossarle. Al di la’ degli scongiuri che ognuno fa per non vivere questa situazione, al di la’ che nessuno presta seria attenzione, il messaggio e’ chiaro.

Se in una situazione di pericolo non mettiamo prima noi stessi in sicurezza, non potremo mai aiutare chi ci sta accanto. Finiremmo entrambi in pericolo.

Quindi se l’aereo precipita ( spero francamente che non mi capiti mai) prima mi metto io la mascherina e poi la metto o aiuto a mettersela a chi sta al mio fianco chiunque sia….anche mio figlio.

E’ fondamentale capire la sottigliezza che sta in questo concetto, a maggior ragione se al mio fianco c’e’ una persona che amo più di me stessa. Banalissima, ma estremamente veritiera. Peccato che non ci si pensa e non si e’ allenati a questo tipo di atteggiamento. Altrettanto il pensiero, man mano che si srotola il ragionamento che pare banale, diventa rivelazione; ancor più se immagino la scena con accanto uno dei miei figli. L’istinto di un genitore e’ quello di proteggere un figlio prima di pensare a se stessi. In questo caso si coglie l’importanza di star bene, di essere felici, di essere stabili…in sicurezza,  e poter essere di supporto se si vuole esserlo per gli altri, soprattutto i cari.

COUNSELING IN VALIGIA
Maria Cristina Koch, Charity Dago, Nicola Giaconi, Monica E. Della Giustina

La Dott.ssa Koch procede:

“Noi dobbiamo essere al sicuro senza esporci affinche’ l’altro non possa danneggiarci”.

Ritorniamo idealmente in aereo: se io prima penso a mio figlio mettendogli la mascherina, lui sarà in grado di metterla a me? O chiunque sia al mio fianco, sarà in grado? Meglio che io mi metta al sicuro prima di chiunque altro, affinché nessuno , sotto una qualsiasi reazione di panico o altro,  mi danneggi.

Quale potrebbe essere l’esito finale di un allenamento a questo procedimento? Accresco la mia sicurezza in tutti i sensi; mi fortifico; rimango più fredda davanti a circostanze difficile e sono pronta a reagire con più razionalità a ciò che mi circonda; cresco e imparo a vivere sfruttando e conoscendo sempre meglio le mie capacità.

Questo e’ fondamentale nella quotidianità al lavoro, a casa , in famiglia, con gli amici.

Imparare a razionalizzare ci permette di vedere con più lucidità quello che ci circonda.

Quando discuto con qualcuno e’ basilare capire se l’altro, per caso, ha ragione. Se vengo contrastata vuol dire che chi ho di fronte ha ragione. Che fare? Contrastare con furbizia, raggirando l’ostacolo. Imparare a capire il linguaggio del corpo, le parole non dette, gli atteggiamenti di chi ho di fronte.

Guardare fisso negli occhi una persona senza mai abbassare lo sguardo e’ una netta dichiarazione di guerra, ricevuta o lanciata.

Porsi di fronte ad una persona e non di tre quarti, come a suo tempo insegnava Lilli Gruber, una delle prime giornaliste che si poneva in questo modo, non era perché il suo lato sinistro fosse il migliore da riprendere televisivamente parlando ( non aveva nessuna cicatrice che le deturpasse il viso) ma un atteggiamento di accoglienza. Del resto un giornalista che ci “corteggia” tutte le sere durante la cena e ci racconta le peggio cose che accadono nel mondo, non e’ più “cortese” nel suo atteggiamento se non ci si para davanti imponendosi?

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Lilli Gruber

Man mano che la mattina volge all’ora di pranzo mi rendo conto di essere nel posto giusto al momento giusto in un momento in cui sono in evoluzione, ad un punto di svolta in cui desidero diventare protagonista della mia vita e costruire un futuro migliore per me e chi mi circonda. mi rendo conto, infatti,  che gli esempi della Dott.ssa Koch mirano a far emergere le capacità delle persone per appropriarsi di se stessi in modo costruttivo e innovativo  per diventare registi del proprio prossimo film .

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Un’altra frase che mi ha colpito profondamente e’ stata: ” Fallire, fallire ancora, fallire meglio” che vorrà mai dire?

Se non hai fallito veramente e non sei pervaso da quella sensazione distruttiva che ti penetra e rischia di ammazzarti, mai troverai la forza di riscattarti, tirarti su in piedi per reagire e trovare la strada per risalire e rimetterti in pista. Non solo, se non hai mai provato la frustrazione del fallimento rischierai di caderci; se l’hai già provata la eviterai con tutta la tua forza.

La vita bastona quotidianamente, le difficoltà sono dietro l’angolo e l’età avanza. Il buon Dio ci ha data una sola vita, non può essere solo fatica e sacrificio, e’ giunto il tempo di riflettere e procedere al meglio. In più, mi permetto di fare un’altra riflessione: ho fatto la mamma single per 23 anni, coprendo due ruoli faticosissimi e vedo i miei figli avvicinarsi a spiccare il loro volo. Quando giustamente lasceranno il nido, non voglio sentire il vuoto, non voglio sentirmi sola, non voglio pensare che solo allora sara’ il tempo per me. Oggi e’ il tempo per me, oggi e’ giusto che riempia la mia valigia di ulteriori esperienze per viaggiare ovunque io vorrò andare.

Viene detto che il passato non esiste!!! Come non esiste?

Mi ha distrutto, mi ha piegata, per fortuna  non spezzata, ma e’ stato indice di una vita difficile, mi ha inevitabilmente segnata….butto via tutto? Fa comunque parte della mia valigia!

Nella realta’ non butto via niente, ma quello che percepisco, seguendo  il ragionamento, e’ che da adesso posso costruire il futuro. In questo senso il passato non esiste, non deve influenzare la costruzione. Ossia, se a me e’ successo quello che e’ successo, e’ successo, punto. Basta, si volta pagina per scrivere un altro capitolo con basi diverse perche’ la ricerca del benessere e’ un diritto.

Come lo cerco il benessere? Che chimera!!!!!

Diventando protagonista del mio film, imparando le tecniche per diventarlo.

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“Abbiamo tutti voglia di benessere,
di vivere una esistenza piena,
di diventare o tornare a essere protagonisti
della nostra vita, di inventarcela su misura” 

L’incanto della comunicazione

 

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foto di gruppo a fine incontro

Tutte le informazioni e il calendario dei corsi di Sistema Eduzione le iscrizioni sono gia’ aperte ma entro il 15 di luglio e’ possibile avere un prezzo inferiore.

Se presenti il “welcome Ticket” di 50annieround qui sotto, potrai ricevere un ulteriore sconto.

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Welcome Ticket
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telefono +39 0229408656

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SELF EMPOWERMENT, MATERIA OBBLIGATORIA A SCUOLA. Utopia?

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Sono stata ieri al seminario di Self Empowerment che si e’ tenuto presso Sistema Eduzione a Milano, Via Luisa Sanfelice, 3.

con

-Massimo Bruscaglioni laureato in Ingegneria e in Psicologia applicativa, ha sviluppato in Italia l’approccio del SELF EMPOWERMENT per il potenziamento personal-professionale e lo sviluppo delle competenze e della vitalità nella cultura e micro cultura organizzativa delle aziende (2 lauree e meticolosità matematica nel metodo)

– Riccardo Bettiga 33 anni  presidente dell’Ordine degli Psicologi della Lombardia.

– Maria Cristina Koch, epistemologa, psicoterapeuta, saggista, referente lombarda della Società Italiana di Counseling S.I.Co.

– Cristina Cavalieri, Psicologa del lavoro e delle organizzazioni e counselor empowerment oriented

SELF EMPOWERMENT, MATERIA OBBLIGATORIA A SCUOLA. Utopia?
Riccardo Bettiga, Massimo Bruscaglioni e maria Cristina Koch

Interessante, molto interessante.

Empowerment vuol dire processo di crescita dell’individuo e del gruppo, basato sull’incremento della stima di sé, dell’auto efficacia e dell’autodeterminazione per far emergere risorse latenti e portare l’individuo ad appropriarsi consapevolmente del suo potenziale.

Divertente il professor Bruscaglioni, Guru dell’Empowerment che se chiudi gli occhi sembra Maurizio Costanzo.

Pubblico numerosissimo e attento grazie ai continui cambi di registro del professore, che un po’ spiega, un po’ scherza, un po’ provoca ed ironizza. E’ un toscano doc!!!!

Dalle 11 del mattino fino alle 18, con una pausa di 1 ora, ha tenuto banco con questo sistema di pause e battute.

Ha dato sempre il tu al pubblico perché il parterre era fatto dalle persona, che non e’ un errore, ma un po’ un “Sarchiapone” alla Walter Chiari, così lo ha definito,  volendo rivolgersi al singolo rafforzando di continuo il concetto di persona. E di ora in ora consolidando in tutti noi l’identità di ognuno.

SELF EMPOWERMENT, MATERIA OBBLIGATORIA A SCUOLA. Utopia?

Concettualmente il metodo si basa sull’Ottimismo, il Pensiero Positivo, il Bicchiere mezzo pieno, l’essere Propositivi.

Il potere e’ interiore e la potenza, che e’ lo spostamento attraverso una forza, sta dentro la persona.

SE SEI UNA PERSONA!

Più volte Bruscaglione ci ha chiesto singolarmente se eravamo 1 persona. Significativo!!!

Sembra banale ma in realtà questa domanda accresce il Sentimento di protagonismo sulla propria vita attraverso le Risorse Interne alla ricerca di Opportunità (nella vita, nel lavoro, nella famiglia, nella società).

Detto ciò, abbiamo iniziato a fare qualche esercizio.

Su 4 aree abbiamo scritto, ognuno per se stesso, gli aspetti speciali visibili, gli aspetti speciali che ognuno di noi ha dentro di sé, quali avvenimenti ci hanno reso speciali nella nostra vita , e quali attività abbiamo svolto ritenendoci unici perché abbiamo fatto fatica a fare, sopportare, superare quella tal cosa.

Vedendolo scritto, logicamente l’autostima cresce, e ci si rende conto di quanto si e’ fatto nella vita e ci si sente orgogliosi di sentirsi una persona vera e non un niente…anche se attualmente le cose non vanno bene e ti senti uno schifo.

Poi siamo stati invitati a fare la Margherita delle Possibilità, ossia immaginiamo d’incontrare Bruscaglione tra 3 anni e gli raccontiamo da qui ad allora cosa si e’ avverato dei nostri desideri.

In ogni petalo scriveremo un desiderio/sogno che si e’ avverato, ma uno lo lasceremo libero per pensarci stanotte!!!

Ed infine un ultimo esercizio: Intervista Bisognosa Desiderante

Concettualmente intervistando il vicino bisogna cercar di far emergere, con adeguate domande, i desideri. Solitamente e’ automatico che l’intervistato, nel raccontarsi, faccia emergere più i bisogni  che i desideri. Riuscire a scoprire invece i desideri e’ capacita’ di chi intervista e delle domande costruite adeguatamente andando a scavare nel passato, nell’infanzia, nel futuro. Nel costruire un presente fantastico e positivo e nel portare il pensiero dell’intervistato su fatti belli finché non gli si accende lo sguardo, finché non si scorge un lampo di gioia, anche piccolissimo. Lì, in quel lampo sta il desiderio. A volte capita che non soffermandosi a sufficienza sui propri sogni e desideri, ci si dimentica di averli. Oppure nemmeno si sanno. Questo e’ un allenamento per andarli a scovare e a riconoscere….e perseguirli.

Secondo la metodologia del Self-Empowerment l’innovazione, in senso globale,  e’ la necessità di energia superiore desiderante.

Ovviamente quanto fin qui descritto e’ un’infarinatura di un metodo studiato e sperimentato da esperti psicologi  e che viene applicato come  metodologia formativa innovativa aziendale e delle persone con approfondimenti adeguati e seguendo i corsi.

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